Parlano gli studenti - FABELLO VIAGGI

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"Mi ha colpito quella montagna di capelli"



Questo viaggio mi ha fatto riflettere. Ho capito che cosa è capace di fare l’uomo, a quali atrocità può arrivare a compiere la bestia umana.
È importante conoscere ciò che è successo e dobbiamo ricordarcelo per evitarlo in futuro; infatti non penso che si possa rimanere “non colpiti” da alcune testimonianze: solo folli che sono stati capaci di pensarlo ci riuscirebbero.
Chiunque si emozionerebbe nel vedere tonnellate di capelli di persone che sono vissute lì, prigioniere solo per la colpa di essere nate. Ciò che mi ha fatto più senso e che mi ha colpito è stato vedere tutti quei capelli: è diverso dal vedere scarpe, occhiali o pentole perché, anche se sappiamo che sono oggetti appartenuti a quelle persone, sappiamo che non sono parte di loro. I capelli, invece, sono una parte del loro corpo, come può esserlo una mano o una gamba e quindi, per me è stato come vedere delle persone morte e ammucchiate lì.
Mi ha fatto uno strano effetto sapere e rendermi conto che solo 50-60 anni fa, le persone delle quali ho visto i capelli, erano vive e respiravano proprio lì dove ero io.
Ma io ci sono solo passata senza lasciare traccia di me mentre quelle persone sono state costrette a lasciarci una parte concreta del loro corpo; “qualcuno” anche tutto il suo corpo.
Ho capito come noi, come persone, vogliamo scegliere ciò che è meglio agli occhi di tutti o perlomeno di chi, in quel momento, conta qualcosa o perché è al potere o perché comunque è seguito dalla maggior parte delle persone.
Per spiegare questo ci sono dei fatti cioè le testimonianze dei sopravissuti che raccontano che i loro amici non ebrei non li consideravano più man mano che si diffondevano le leggi razziali contro gli Ebrei.
Non potevano più essere amici, frequentarsi, o entrare in certi posti vietati alle persone ebree.
Certo, noi potremo dire che i “non ebrei” non avevano colpa riguardo le leggi, ma non avrebbero dovuto dare retta a Hitler, ai fascisti e ai nazisti.
Se Hitler fosse stato l’unico folle, non sarebbe riuscito da solo, a compiere lo sterminio.
Per arrivare a compiere quello che hanno fatto, bisognava essere in tanti a collaborare insieme per lo stesso obiettivo.
Proprio per questo ci dobbiamo rendere conto del male che può compiere ognuno di noi e di quello che si può compiere se si è in tanti.
Mentre camminavamo nella neve, il sole che rifletteva nei miei occhi mi faceva venire i brividi; allora ogni tanto pensavo al freddo che sentivano quelle persone indossando solo dei vestiti di cotone, se noi ne sentivamo pur essendo così imbottiti. Questo mi è capitato vicino al cancello dell’entrata del campo di Aushwitz1, allora per qualche secondo ho immaginato che fosse tutto in bianco e nero e mi sembrava di vedere le persone, con gli abiti a strisce, che camminavano verso i block.
Anche quando eravamo davanti al muro della morte mi è sembrato di essere nel passato. Ero lì, non potevo fare niente ma vedevo un medico affacciato dalla porta del block, un paio di prigionieri e un tedesco con un fucile puntato verso di loro ce urlava qualcosa nella sua lingua. Io, ancora una volta ero lì, anche questa volta non potevo fare niente, ma quest’ultima era il 27 gennaio, e io guardavo in silenzio ciò che è rimasto di un’ orribile testimonianza. Anche questo mi ha fatto riflettere: ho provato a pensare come si sentisse il tedesco che puntava il fucile verso le cavie. Non ce l’ho fatta perché non riesco a pensare, come ho già detto prima, che si possa compiere del male a un nostro fratello, fino a questo punto.
Ho capito che importanza ha compiere del bene, come hanno fatto i giusti.
Io li ammiro e certe volte mi preoccupo di pensare: se io fossi stata lì, avrei agito come loro o mi sarei trascinata anche io verso il male? Adesso è facile scegliere perché sappiamo come sono andati i fatti: tutti diremo che avremmo fatto come loro ma io ho provato a mettermi nei panni di uno di loro in quel periodo.
Con tutta quella gente contro di me, ritrovarsi a poter decidere la vita o la morte di altre persone non è facile. E’ proprio per questo che penso che i giusti sono fra i primi da ricordare anche se purtroppo dobbiamo tener presente anche il male; infatti quello che vorrei dire è: ricordare e conoscere il passato per un futuro migliore.
Margherita Ghiani III A
Isili, 4 febbraio 2006

"Io non avrei resistito un giorno"

Il 26 gennaio 2006, mi sono svegliato alle 4.45 e ero pronto per intraprendere il viaggio verso la Polonia. Non ero ancora consapevole del viaggio che dovevo compiere ma ero sicuro  che mi sarei divertito.
Alle 5.30 siamo partiti da Isili e dopo un lungo viaggio tra pullman e aereo siamo arrivati a Cracovia. Durante il viaggio pensavo al fatto che avevo lasciato l’Italia per la prima volta, per addentrarmi nella terra  nevosa polacca, nella quale c’è stato un mucchio di storia.
Nella notte siamo andati a visitare un deportato di Auschwitz che stava raccontando la vita nei campi di concentramento. Dalla sua bocca usciva tanta tristezza che aveva vissuto.  Accanto a lui c’era una TV gigante in cui facevano vedere le sofferenze dei deportati. Lì venivano trattati peggio degli animali con torture che ancora oggi ci sono. Nonostante i campi di concentramento l’uomo continua a fare l’errore che ha fatto nella seconda guerra mondiale.
Dopo il discorso siamo andati in albergo dove siamo andati a dormire.
Il 27 gennaio siamo andati ad Auschwitz a visitare i campi di concentramento. Nell’entrata c’era la scritta  “Arbeit macht frei” che significava “Il lavoro rende liberi”. Questa scritta faceva pensare ad un insignificante campo di lavoro, ma dentro era un inferno, soprattutto per chi ci viveva. C’era un silenzio mortale come  se queste strade non fossero mai incise da nessuno. Il dolore di quei campi faceva zittire tutti quelli che ci passavano. Il filo spinato, che circondava la costruzione, sembrava dicesse che da qua non si poteva uscire.
I prigionieri erano proprio  in gabbia, rinchiusi nel loro incubo più immenso.
Il campo era un’insieme di strade unite fra loro. Ognuna di queste vie portava al forno crematoio. All’ interno si provava una sensazione brutta, non solo per la puzza, ma per le  candele situate nei forni, come per farti provare le torture e le sensazioni dei nazisti che mettevano i corpi nei forni.
Fuori dal forno c’era una cosa per l’impiccaggio. Là avevo provato una sensazione bruttissima pensando a quella  gente tutta ammucchiata che guardava nel momento più fatale.
Nei bordi delle strade si estendevano i dormitori dei prigionieri. Essi vivevano in condizioni degradanti, infatti dormivano in letti sporchi, con posizioni scomode perché nei letti  ci dormivano più persone. Durante la notte molta gente si congelava e moriva dal freddo. Questa è una delle sole cause che portavano alla morte perché la gente non mangiava e quindi erano magrissimi per poter resistere al freddo polacco (circa  -20°).
Nelle altre stanze venivano mostrate le reliquie dei prigionieri. C’erano capelli, scarpe, valigie e vestiti leggerissimi per lavorare. I nazisti erano proprio crudeli contro gli ebrei, nonostante le vittime non avessero fatto nulla.
Nelle pareti c’erano le foto dei deportati. Erano tutti rasati a zero e morivano poco più di tre giorni.
Se avessi provato io quelle torture non sarei resistito neanche un giorno.
Nei sotterranei di un block c’erano le celle  delle torture. In una delle celle era morto padre Kolbe, il quale si era sacrificato per salvare un altro prigioniero che era stato condannato a morire di fame e di freddo.
Tra due block c’era il muro della morte in cui venivano depositati  i fiori per la gente dei campi. In questo muro venivano sparate le persone che commettevano reati.
Dopo una lunga mattinata di visite ci siamo recati nel campo di concentramento di Birkenau.
Il campo era gigantesco. Nell’entrata c’era la torretta di controllo, nella quale i nazisti controllavano le centinaia di baracche situate tra le rotaie innevate. Nelle rotaie passavano i treni che trasportavano i deportati nell’abisso di Birkenau.
Le baracche erano di legno e  ospitavano, in condizioni degradanti, i prigionieri del campo. Molti capanni erano stati bombardati dai nemici per liberare il campo di Birkenau.
Anche qui la gente moriva di freddo, fame e malattie perché i nazisti non davano niente da mangiare  per sopravvivere.
In fondo al campo di concentramento c’era la manifestazione per la giornata della memoria a cui hanno partecipato tante scuole d’Italia e noi rappresentavamo la Sardegna.
Tra la gente scendevano delle lacrime  che si depositavano nella neve. Quello era il segno che suscitava il ricordo di tutte quelle persone massacrate nei campi. Questo segno faceva risvegliare la gente a non commettere più errori così grandi. Ma questo non può impedire tutto ciò  che succede nel presente.
Dopo la cerimonia per ricordare, con i lumicini tutte le scuole hanno realizzato la fiaccolata fino alla torretta, che per gli ebrei sopravvissuti è stato l’ultimo ricordo di quell’inferno che avevano passato.
Il viaggio mi ha fatto capire ciò che l’uomo è in grado di fare per inutili confronti tra due “razze” che non dovrebbero esistere.
Riccardo Porceddu III A


"Un viaggio indimenticabile"

Non era ancora sorto il sole quando la sveglia rimbombò nella stanza interrompendo il mio sogno. Mi alzai di soprassalto e controllai l’orologio: quattro e mezza del mattino.  Ancora non riuscivo a capacitarmi: stavo per intraprendere un viaggio indimenticabile, un pellegrinaggio verso luoghi dove non si spense mai la luce della speranza e dove i desideri e l’amore abitarono i cuori delle anime in pena. Ingurgitai una  fetta di torta e del latte, mi preparai e alle cinque e un quarto ero lì, accanto al pullman con i miei compagni e la insegnanti Paola Pellegrino, Nina De Vinco, Lucia Bassu e Antonella Orgiana che attendevo con ansia di partire per l’aeroporto  di Elmas.
Giunti all’aeroporto, ci imbarcammo nell’ aereo con destinazione Katowice, facendo scalo a Roma. Verso notte giungemmo a Cracovia, ci sistemammo in albergo e più tardi andammo all’incontro con il Vice Direttore del  Campo di Auschwitz. La stanza era grande, ospitava circa 600 ragazzi italiani, che come noi avevano aderito al progetto “un treno per Auschwitz”. Purtroppo arrivammo tardi e rimanemmo lì un quarto d’ora massimo. L’uomo parlò  di un certo Luigi, un Ebreo che conobbe al campo di concentramento. Il superstite non mi sembrò tanto vecchio, aveva l’aspetto di una persona saggia e alquanto intelligente. Durante il suo racconto ascoltai quasi impassibile, distogliendo lo  sguardo dal suo volto vizzo e continuai a cercare chissà che cosa nelle pareti della sala. Infondo come può una persona che non ha mai avuto l’occasione di recarsi negli atroci campi di sterminio comprendere i forti racconti che enunciò  il sopravvissuto?... continuai a non comprendere.. alcuni minuti più tardi uscimmo dalla sala e ci dirigemmo verso l’hotel.
La mattina successiva mi svegliai prestissimo. Feci tutto in fretta e furia. Ero in pieno stato di agitazione, solo  il pensiero che tra qualche ora sarei entrata nei luoghi più mostruosi e sinistri del mondo, dove la crudeltà e la malvagità si scontrava con l’amore e la speranza di tante persone. Dopo circa un’ ora e mezza di viaggio, il pullman  si parcheggiò in uno spiazzo. Il tenue barlume dei raggi del sole rispecchiava vile nella neve come se volesse esprimere la tristezza di quel malinconico luogo. Alzai lo sguardo e vidi una grande struttura in mattoncini rossi: Auschwitz. Un brivido  attraversò il mio corpo. Scesi dal pullman e seguii il gruppo. Ci dirigemmo verso l’ingresso e davanti a noi, imponente cancello con la scritta: ARBEIT MATCH FREI (il lavoro rende liberi). Un silenzio sommesso regnava in quel rattristante momento,  ma quel silenzio significava tanto, ci parlava.
Abbiamo proseguito verso i cosiddetti “block”. All’interno di alcuni di essi erano esposti oggetti, vestiti, tantissime tonnellate di capelli, di scarpe e di tutto ciò che i  tedeschi portavano via agli ebrei. Nelle pareti di alcuni “Blocchi” erano appese centinaia di fotografie degli ebrei deportati nel campo con la data di arrivo e di morte. Il pensiero che tantissimi di loro sono morti dopo pochi giorni mi  ha turbato. Più proseguivamo più mi rattristavo e rabbrividivo. Non feci altro che paragonare la mia vita con quella delle tante vittime.. come può l’uomo vivere in queste condizioni? Come può essere trattato peggio di un animale? Molte  volte mi pongo queste domande ma non sono mai riuscita a trovare le risposte. Le vittime e i pochi sopravvissuti non chiedono altro che ricordare quella storia agghiacciante e di prendere come esempio le azioni dei nazisti per vedere fino a cosa può  arrivare a fare l’uomo. Quando percorrevo le strade, le vie, pensavo a tutti gli Ebrei che correvano, lavoravano, trasportavano cose da una parte all’altra di quei larghi passaggi. Ma non potrò mai dimenticare l’aria che respiravo  nei forni crematoi e nelle camere a gas. Avevo paura di entrare, quel luogo sinistro mi infondeva sgomento. Non riuscivo a immaginare che in quell’ostile luogo hanno perso la vita tantissimi bambini innocenti.
Più tardi è arrivato il  momento più funesto della giornata, la fiaccolata. Dopo aver incontrato gli altri ragazzi delle scuole italiane abbiamo acceso i ceri e ci siamo messi intorno ad un imponente monumento tra le baracche di Birkenau. Non sapevo cosa fare. Cercavo di distogliere  lo sguardo da quel triste paesaggio innevato. Mentre alcuni ragazzi più grandi di noi cantavano, tantissime persone, con un fazzoletto in mano si asciugavano le lacrime. Un’atmosfera malinconica girava nell’aria. All’imbrunire  ci siamo raggruppati in un corteo e, seguendo i binari del treno abbiamo deposto le nostre fiaccole lungo le rotaie, illuminandole. Quest’esperienza sarà indimenticabile e lascerà vivo il ricordo di un giorno in cui ho capito il valore della  vita e della possibilità che l’uomo si trasformi in bestia.
Giulia Piras III°A



"Ho toccato il muro, immedesimandomi nelle vittime"

HITLER, detto anche il Fuhrer, prese il potere nel 1933. Il suo governo era una dittatura, che si diffuse in tutta la Germania.
Fece radicare in modo endemico l’ideologia  del nazismo (nazional-socialismo) che dal 1939 portò allo sterminio di milioni di Ebrei nei campi di concentramento.
Come dice un detto: homo homini lupus est (l’uomo è lupo di un altro uomo).
Auschwitz, che inizialmente era stato  adibito a caserma, fu il primo campo di sterminio e successivamente venne aperto Birkenau, parecchio più grande.
Visitandolo non mi sembrava possibile che in quel posto fossero state uccise così brutalmente così tante persone innocenti.
In molti, anche recentemente, non hanno ancora ammesso che queste cose siano realmente accadute, nonostante le varie prove che nel 1945, al Processo di Norimberga, inchiodarono quasi tutti i criminali nazisti.
La mia classe, con la 3^ B, ha intrapreso  un viaggio che si è rivelato splendido e saturo di sapere.
Da questo “pellegrinaggio”, come lo definisce una giornalista, ho imparato un’infinità di cose che mi hanno sbalordita e impressionata allo stesso tempo. Il viaggio  è durato quattro giorni, ma gran parte del primo e dell’ultimo giorno l’abbiamo trascorsa in aereo o in pullman.
Giovedì, dopo aver preso due aerei, siamo infine arrivati a Cracovia, nel nostro albergo. Anche se stanchissimi ci  siamo recati in un edificio dove un ex-deportato, il direttore del Campo di Auschwitz, ha raccontato parte delle proprie esperienze nei lager nazisti. Egli ha parlato di un giovane che si chiamava Luigi e che al momento della separazione tra uomini e  donne non voleva lasciare la nonna, così si è nascosto ed è rimasto con lei; purtroppo non si sono più avute sue notizie. Sfortunatamente il nostro aereo era giunto in ritardo a destinazione e abbiamo fatto in tempo a sentire solo l’ultimo quarto d’ora del discorso.
Venerdì, il secondo giorno, abbiamo visitato Auschwitz e partecipato alla fiaccolata svoltasi a Birkenau.
Auschwitz è composto da numerosi baracconi in muratura e dentro di essi si trova un museo,  che espone pezzi e testimonianze di straordinaria importanza per tutti. Potendo osservare con i miei occhi oggetti che portavano con sé, nel profondo della propria esistenza, una triste storia, non sapevo cosa pensare. Chissà cosa avrebbero provato  i loro padroni se avessero potuto osservarli in quelle tetre teche. Anche una scarpa o un piccolo tegame avrebbe rievocato nelle loro menti un turbine di ricordi. Essi erano appartenuti a qualcuno che visse veramente i fatti raccontati nelle testimonianze  dai pochissimi sopravvissuti. Quante speranze, quanti sogni sono stati spezzati in questi luoghi…
Entrando nelle camere a gas, troppo piccole per tutti i poveri deportati che ci entrarono, non ho potuto resistere alla tentazione di fare qualcosa  che faccio sempre quando vado in un posto che non ho mai visto prima: toccare una parete. Di sicuro quel muro, esattamente nel punto dove si trovava il mio dito, era stato toccato da qualche deportato, forse ignaro di quello che stava per accadergli,  che stava per morire. In quel momento è stato come impersonarmi in lui e provare a immaginare quello che lui aveva pensato. Poteva essere anche un bambino, o magari aveva la mia stessa età. Anche i forni crematori erano sconvolgenti. Mi fa impressione  solo pensare che lì, proprio davanti al posto in cui mi trovavo io sono stati bruciati ogni giorno più di duemila cadaveri di persone che probabilmente non sapevano neanche dove si trovassero. La nostra guida, una signora molto colta di nome Barbara,  ha citato le parole che ha scritto la moglie di Rudolf Hess, il segretario di Hitler, a una sua amica:
“Cara …
Qui è un Paradiso, solo che c’è uno strano odore…”.
Non mi sembra strano, visto  che viveva vicinissimo al forno pur ignorandone l’esistenza.
Rudolf Hess aveva anche trovato un metodo per uccidere circa 1500 persone in una sola volta con 6 o7 chili di “sassi”, ma non sassi qualsiasi, no, Cyclon B. Unite  al vapore acqueo, queste “pietre” producevano il gas che entrava nelle apposite camere e…
In delle grandi teche sono stati sistemati parecchi oggetti: barattoli di Cyclon b, scarpe da donna, da uomo e da bambino, valigie, pettini,  spazzole, vestiti, spazzolini da denti, pennelli da barba, stoviglie varie, occhiali, protesi e stampelle, barattoli di lucido per scarpe, ma la cosa più spaventosa è un largo e lunghissimo mucchio di capelli, che uniti al lino davano origine a  un tessuto impressionante. Non si sprecava niente degli esseri umani, prima di essere bruciati i cadaveri venivano privati della capigliatura, dei denti d’oro e del grasso (per fare il sapone).
Nel pomeriggio ci siamo recati a Birkenau.
E’ grande più del triplo rispetto ad Auschwitz ed è formato da baracche di muratura e di legno. Esse erano state costruite per dei cavalli, infatti possiamo trovarci degli anelli di ferro per legarli. Mi chiedo come i prigionieri si sarebbero  dovuti sentire constatando di essere trattati peggio degli animali.
Dovevano starci molti più uomini del normale, circa quindici per cuccetta. A differenza di Auschwitz possiamo trovarci tantissimi forni crematori, che occupano gran parte del  campo.
Dopo aver osservato anche la torre delle SS dall’interno, siamo andati alla cerimonia della Giornata della Memoria. Erano presenti gli alunni di parecchie scuole (ricordo Brescia e Firenze) e non appena è finita siamo tornati in  albergo per cenare e poi andare al concerto di un gruppo molto bravo e soprattutto simpatico: la Bandabardò. Mi sono divertita molto e ho riso tantissimo, è stato come fare un’abbuffata di risate perché durante tutto il giorno non avevo  avuto proprio voglia di ridere.
Sabato il programma comprendeva la visita di Cracovia e delle miniere di sale.
Questa città ha più di duecento monumenti architettonici ed ha una cattedrale bellissima, che è considerata la seconda più  bella d’Europa esclusa l’Italia. In essa possiamo trovare anche una splendida campana che ha un batacchio che, toccato con la mano sinistra, secondo i superstiziosi, porta fortuna. Chissà perché dopo essere usciti dalla chiesa ho trovato  un euro e una paperella di plastica in mezzo alla neve…non riesco ancora a spiegarmelo…
Una cupola della cattedrale è stata rivestita con 70 chili di oro zecchino donato dalla Principessa di Milano e ciò la rende ancora più  preziosa.
A Cracovia ci sono molte sinagoghe ed altri edifici che indicano la permanente presenza degli Ebrei.
Dopo aver pranzato siamo andati alle Miniere di sale Wielicka, dichiarate dall’UNESCO monumento mondiale della natura e della  cultura.
Sono sbalorditive! Tutte le statue sono fatte di salgemma, perfino alcuni lampadari, ma è strano pensare che dentro di esse possiamo trovare anche due chiese. Mi è piaciuta tantissimo una stanza in particolare, in cui ci sono una statua  di Giovanni Paolo II, una sorta di “presepe” e una statua della Regina Kinga e tutto ciò è stato realizzato con il salgemma.
Per tre notti sono stata in camera con Maura e Annalisa.
Mi sono trovata benissimo, con Anna che  faceva un sacco di battute divertenti, si comportava (e si comporta) da matta; mi hanno fatto moltissimi scherzi, anche a mia insaputa. Non mi sono arrabbiata , anzi sono contentissima perché, come ho già accennato, questo era un viaggio molto serio  e triste e qualche risata ci voleva.
Anche se il tempo era sereno, c’era tanta neve e il freddo non mancava.
L’ultimo giorno siamo tornati tutti a casa felici, contenti e soddisfatti di questa bellissima esperienza.
La pace  non è l’assenza di guerra, ma la giustizia.
Credo di essere più sensibile alle atrocità che tuttora vengono commesse, specialmente al genocidio, il desiderio di qualcuno di voler eliminare un’etnia, una razza; non si può  rimanere estranei a queste faccende. A causa di questo, infatti, è stata presa la soluzione finale, che prevedeva l’eliminazione totale per gli Ebrei.
Chiunque abbia visitato questi posti di morte si impegnerà ad eliminare queste ideologie  e a far cessare i crimini che ne derivano.
Gaia Manganello


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